
Vigili del fuoco, PFAS e glioblastoma: cosa sta succedendo?
Negli ultimi mesi diverse testate hanno riacceso i riflettori sugli allarmi relativi a tumori tra i vigili del fuoco: soprattutto in merito al glioblastoma, che sta colpendo con frequenza preoccupante la categoria. In Italia, i casi di Arezzo, Spoleto e Matera hanno amplificato il dibattito, sollevando interrogativi cruciali su cause e responsabilità.
Immaginate una professione dedita alla sicurezza, quella di chi ogni giorno rischia la vita per salvare gli altri. Eppure, proprio da questo mondo, sta emergendo un allarme silenzioso ma devastante: l’anomala e preoccupante incidenza di glioblastoma, un tumore cerebrale raro e aggressivo di IV grado, tra i vigili del fuoco italiani.
Mentre nella popolazione generale questo tumore colpisce appena 3-5 persone ogni 100.000 abitanti all’anno, la sua concentrazione tra i pompieri è allarmante. Basti pensare ai casi di Arezzo, dove tre vigili del fuoco (Mario Marraghini, Maurizio Ponti, Antonio Ralli) sono deceduti per la stessa patologia in soli 14 mesi, in un comando di circa 200 operatori. A questi si aggiunge Mario Parlascino, un collega di Spoleto, e l’inquietante segnalazione di quattro casi (di cui tre mortali) anche a Matera.
Cosa sta succedendo? Il sospetto, sempre più concreto, punta il dito contro i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), veri e propri “veleni eterni” con cui i vigili del fuoco entrano in contatto quotidiano.
I PFAS: “sostanze chimiche eterne” e vie di esposizione
I PFAS, noti come “forever chemicals”, sono sostanze chimiche dalla struttura molecolare incredibilmente stabile, che li rende persistenti nell’ambiente e capaci di accumularsi nel corpo umano per anni, se non per tutta la vita. L’Unione Europea ha già iniziato a vietare la produzione e l’uso di alcune delle molecole più tossiche, ma in Italia siamo ancora lontani da un bando totale.
Per i vigili del fuoco, le vie di esposizione ai PFAS sono molteplici e dirette:
- Schiumogeni antincendio: Utilizzati nelle esercitazioni e negli interventi, questi schiumogeni contengono PFAS, come il PFOA. Una circolare ministeriale del marzo 2024 ha finalmente imposto la loro sostituzione.
- Dispositivi di protezione individuale (DPI): Tute, guanti, scarpe e sottocaschi sono trattati con PFAS per renderli anti-fiamma, impermeabili e resistenti.
Le evidenze di contaminazione sono sempre più schiaccianti. Nuove analisi indipendenti, condotte dal sindacato USB in collaborazione con Greenpeace, hanno rivelato la presenza di PFAS in ben sette diverse tipologie di DPI, sia nuovi che usati, inclusi i capi a diretto contatto con la pelle come guanti e pantaloni. In alcuni kit antifiamma, è stata trovata una quantità “abnorme” di fluoro totale (la somma delle molecole di PFAS), superando anche il limite UE per il PFOA nei tessuti. Questo stride con le iniziali rassicurazioni del Ministero dell’Interno che, nel 2023, sosteneva di non aver rilevato elementi che giustificassero dubbi sulla sicurezza dei DPI.
Ma non è tutto: studi recenti, anche condotti in Cina e Stati Uniti, hanno rilevato concentrazioni di PFAS nel sangue e nei tessuti cerebrali dei pompieri fino a 15 volte superiori rispetto alla popolazione civile. In particolare, è stata riscontrata la presenza di Pfdoa nell’80% dei vigili del fuoco analizzati, una sostanza solitamente assente nella popolazione generale, suggerendo un’esposizione tipica della professione.
Il rischio cancerogeno e il contesto scientifico
La professione del pompiere è stata ufficialmente classificata dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogena di Gruppo 1 nel 2022. Questa classificazione si basa sulla presenza di ben cinque delle dieci caratteristiche chiave dei cancerogeni, come la genotossicità e l’infiammazione cronica, e sulla correlazione con diversi tipi di cancro, tra cui mesotelioma e tumore della vescica.
Per quanto riguarda i tumori cerebrali, studi internazionali hanno dimostrato un aumento significativo del rischio: fino al 26% in più di probabilità di sviluppare un tumore al cervello o al sistema nervoso centrale rispetto alla popolazione generale. Altri tumori come il melanoma cutaneo (+34%), colon-retto (+13%), vescica (+18%), prostata (+26%), testicolo (+68%) e linfoma non Hodgkin (+37%) mostrano incrementi preoccupanti.
Ma qual è il meccanismo? I PFAS, inclusi gli alogenuri alchilici presenti nei ritardanti di fiamma e nelle schiume degli estintori, sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e accumularsi nel tessuto cerebrale. Studi scientifici hanno trovato associazioni significative tra queste sostanze e marcatori di proliferazione tumorale tipici dei gliomi, come il P53, rilevato anche in Antonio Ralli. Ricerche statunitensi hanno inoltre evidenziato che i gliomi nei vigili del fuoco mostrano specifiche “firme mutazionali” associate all’esposizione agli aloalcani, con una maggiore significatività in caso di esposizione più lunga.
È vero, come sottolineato da alcuni esperti, che la correlazione specifica tra glioblastoma e PFAS necessita di ulteriori approfondimenti e che in Italia mancano ancora studi epidemiologici dedicati ai vigili del fuoco. Tuttavia, il Ministero dell’Interno ha avviato accertamenti e l’Università di Bologna condurrà esami clinici su 300 operatori per cercare questa correlazione. La ricerca della verità è solo all’inizio.

La risposta istituzionale e l’attivismo del settore
Di fronte a questa emergenza, la risposta istituzionale è stata inizialmente lenta. Per anni, nonostante le denunce e le analisi indipendenti, non sono state avviate indagini approfondite sui DPI. Tuttavia, la tenacia delle famiglie delle vittime e l’attivismo dei sindacati hanno innescato un cambiamento.
Il Ministero dell’Interno ha ora disposto accertamenti per comprendere l’origine dei decessi e valutare il collegamento con l’esposizione ai PFAS. Le analisi, che partiranno dall’Emilia Romagna con l’Università di Bologna, verranno estese a tutte le regioni, a partire da Arezzo. È stata inoltre istituita una Direzione Centrale per la Salute all’interno del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, a testimonianza della crescente attenzione. Già a marzo 2024, una circolare ministeriale ha dato il via alla sostituzione degli schiumogeni contenenti PFAS.
Ma la spinta più forte viene dal basso. I familiari delle vittime, come Matteo Ralli, figlio di Antonio, stanno portando avanti una coraggiosa battaglia legale per il riconoscimento della malattia come professionale. La loro richiesta non è di risarcimento, ma di conoscenza, verità e prevenzione. A sostenerli, i sindacati come CONAPO e USB, che denunciano la situazione di carenza di tutele sanitarie e chiedono indagini epidemiologiche interne, biomonitoraggio per i vigili del fuoco in servizio e in pensione, e attrezzature certificate “PFAS-free”. Nonostante la gravità della situazione, il sistema sanitario nazionale non copre gli esami per i PFAS, rendendo difficile per i pompieri ottenere risposte. Parallelamente, diverse associazioni (ADiC Toscana, Movimento Consumatori, Isde Italia, Medicina Democratica) hanno presentato esposti a 36 Procure italiane. Il loro obiettivo: verificare la presenza di PFAS nelle aree adiacenti ai presidi antincendio – sospettando un inquinamento ambientale derivante dalle esercitazioni con schiumogeni – e sollecitare una legge nazionale che vieti la produzione, l’importazione e l’impiego industriale dei PFAS.
Le sfide attuali e il ruolo del settore antincendio
La strada per la piena tutela dei vigili del fuoco è ancora lunga. Una delle principali criticità è la mancanza di copertura INAIL per infortuni e malattie professionali. Questo significa che i pompieri, per ottenere il riconoscimento di una malattia come professionale (“causa di servizio”), devono affrontare un iter lungo, costoso e incerto, anticipando le spese mediche. Inoltre, i tumori primitivi come il glioblastoma non rientrano tra le malattie professionali riconosciute, a meno che non siano causate da amianto, e i PFAS non sono ancora considerati sostanze tossiche professionalmente riconosciute. Questo rende estremamente difficile dimostrare un nesso di causalità diretto.
Un altro elemento preoccupante è la persistenza dei PFAS: sono “eterni” e non si degradano facilmente. Questo significa che, anche se oggi si smettesse di usarli, rimarrebbero nell’ambiente e nei corpi per decenni. Anche i nuovi schiumogeni contengono “PFAS a catena corta”, considerati meno dannosi ma ugualmente pericolosi e più mobili nell’acqua, con studi che ne evidenziano l’accumulo nel cervello e altri organi.
Il caso di Matera, dove il comando era a conoscenza dei decessi per glioblastoma dal 2020 senza aver intrapreso azioni specifiche, sottolinea una diffusa mancanza di consapevolezza e di protocolli chiari. Allo stesso modo, manca uno screening per l’esposizione all’amianto, un’altra grave problematica storica per la categoria.
Verso un futuro antincendio consapevole e sicuro
L’allarme glioblastoma tra i vigili del fuoco non può rimanere ignorato. È urgente puntare su innovazione responsabile, trasparenza e sicurezza dal campo all’ambiente.
Il futuro della sicurezza antincendio deve basarsi su DPI “PFAS‑free”, monitoraggio continuo e policymaking che anteponga salute e ambiente.
Professionisti del settore, istituzioni, aziende e organizzazioni devono lavorare insieme per costruire un domani in cui la prevenzione salvi davvero chi salva gli altri.
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